di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.

sabato 23 febbraio 2013

da "La scrittura del disastro" di Maurice Blanchot-


Pubblico questo brano di Blanchot.

Ho tratto questa traduzione dal link:

http://rebstein.wordpress.com/2008/10/06/la-scrittura-del-disastro-di-maurice-blanchot/



[Tratto da: AA.VV., Il Pomerio. Antologia Poetica, Elitropia Edizioni, In forma di Parole, Libro VII, Reggio Emilia, 1983, pag. 473-479.]
                   Maurice Blanchot - La scrittura del disastro
                   (Traduzione di Franco Facchini e Giorgio Marcon)



     Volere scrivere, quale assurdità: scrivere è la decadenza del volere, come la perdita del potere, la caduta della cadenza, il disastro ancora.


     Scrivere può almeno avere questo senso: usare gli errori. Parlare li propaga, li dissemina facendo credere a una verità. Leggere: non scrivere; scrivere nella proibizione di leggere. Scrivere: rifiutare di scrivere – scrivere per rifiuto, in modo che basti che gli si domandi qualche parola affinché si pronunci una sorta di esclusione, come se lo si obbligasse a sopravvivere, a prestarsi alla vita per continuare a morire. Scrivere per difetto.

     Quello che si scrive risuona nel silenzio, facendolo risuonare a lungo, prima di ritornare nella pace immobile dove veglia ancora l’enigma.

     Ciò che avviene per volontà della scrittura non è dell’ordine di ciò che avviene. Ma allora chi ti permette di pretendere che avverrebbe mai qualche cosa come la scrittura? Oppure la scrittura non sarebbe tale da non avere mai bisogno di accadere?

     Egli scriveva, che ciò fosse possibile o no, ma non parlava. Questo è il silenzio della scrittura.

     Solitudine che s’irradia, vuoto del cielo, morte differita: disastro.

     Il disastro, preoccupazione dell’infimo, sovranità dell’accidentale. Ciò ci fa riconoscere che l’oblio non è negativo o che il negativo non viene dopo l’affermazione (affermazione negata), ma è in rapporto con ciò che vi è di più antico, ciò che verrebbe dal fondo delle età senza mai essere stato dato.

     Leggere, scrivere, come vivere sotto il controllo del disastro: esposto alla passività fuori passione.

     L’esaltazione dell’oblio.
Non sei tu che parlerai; lascia che il disastro parli in te, fosse anche per oblio o per silenzio.

     Il disastro è dalla parte dell’oblio; l’oblio senza memoria, il tirarsi indietro immobile di ciò che non è stato tracciato – l’immemorabile forse; ricordarsi attraverso l’oblio, daccapo il fuori.

     Vorrei accontentarmi di una sola parola, mantenuta pura e viva nella sua assenza, se, attraverso essa, non avessi da sopportare tutto l’infinito di tutti i linguaggi.

     L’angoscia di leggere: è che ogni testo, per quanto importante, gradevole e interessante che sia (e più dà l’impressione di esserlo), è vuoto – non esiste nel fondo; bisogna varcare un abisso, e se non lo si salta non si comprende.

     Non pensare: senza ritegno, con eccesso, nella fuga panica del pensiero.

     Non c’è origine, se l’origine suppone una presenza originaria.
Sempre passata, fin d’ora passata, qualche cosa che è accaduta senza essere presente, ecco l’immemorabile che ci procura l’oblio, dicendo: ogni inizio è un nuovo inizio.

     La sofferenza del nostro tempo: “un uomo scarno, la testa reclinata, le spalle curve, senza pensiero, senza sguardo”.
“I nostri sguardi erano volti verso il suolo”.

     L’inconveniente necessario (o il vantaggio) di ogni scetticismo è di elevare sempre più in alto la barra della certezza o della verità o della credenza.
Non si crede a nulla per bisogno di troppo credere e perché si crede ancora troppo quando non si crede a nulla.

     Il disegno della legge: che i prigionieri costruiscano essi stessi la loro prigione. E’ il momento del concetto, l’impronta del sistema.

     Impara a pensare con dolore.

     “Io” muoio prima di essere nato.

     Sempre di ritorno sui cammini del tempo, noi non avanzeremo né ritarderemo: tardi è presto, vicino lontano.

     Frammento: al di là di ogni frattura, di ogni luminosità, la pazienza di pura impazienza, il poco a poco dell’improvvisamente.

     La rinuncia al me-soggetto non è una rinuncia volontaria, dunque nemmeno una abdicazione involontaria; quando il soggetto si fa assenza, l’assenza di soggetto o il morire come soggetto sovverte tutta la frase dell’esistenza, fa uscire il tempo dal suo ordine, apre la vita alla sua passività, esponendola all’ignoto dell’amicizia che mai si dichiara.

     La morte dell’Altro: una doppia morte, poiché l’altro è già la morte e pesa su di me come l’ossessione della morte.

     Allorché l’altro si rapporta a me in maniera tale che l’ignoto in me gli risponde al mio posto, questa risposta è l’amicizia immemorabile che non si lascia scegliere, né si lascia vivere nell’attuale: la parte offerta della passività senza soggetto, il morire fuori di sé, il corpo che non appartiene a nessuno, nella sofferenza, nel godimento non narcisistici.

     Rispondere: c’è la risposta alla domanda -, la risposta che rende la domanda possibile -, quella che la raddoppia, la fa durare e non la placa, al contrario le accorda una nuova luminosità, le assicura una perentorietà , c’è la risposta interrogativa; infine, distanziata dall’assoluto, ci sarebbe questa risposta senza interrogazione alla quale nessuna domanda converrà, risposta di cui noi non sappiamo che fare, se solo può riceverla l’amicizia che la dona. L’enigma (il segreto), è precisamente l’assenza di domanda – laddove non c’è neanche il posto per introdurre una domanda, senza che tuttavia questa assenza costituisca risposta. (La parola criptica).

     Quando tutto si è oscurato, regna l’illuminazione senza luce che certe parole annunciano.



(da La scrittura del disastro di Maurice Blanchot, traduzione di Franco Facchini e Giorgio Marcon)

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